giovedì 21 aprile 2011

IL DOLORE DI UN POPOLO



Checcasa è una piccola comunità nella sierra andina in Perù dove abitano un centinaio di campesinos con le loro famiglie. Si trova completamente immersa nel verde a 3000m, per arrivarci ci vogliono 3 ore di macchina da Abancay e 1 ora e mezza di camminata in mezzo ad un paesaggio mozzafiato. Dall’alto si vedono le piccole casettine marroni, una piccola scuola e un’infermeria, questo è tutto...

Eppure questo piccolo paradiso, lontano da tutto è inaccessibile al turismo, è stato vittima delle peggiori violenze durante gli anni del conflitto armato interno peruviano tra gli anni 1980 e 2000. In quegli anni il Perù visse i peggiori anni della sua storia: violazioni dei diritti umani, assassini, paura e violenza che costarono la vita a 69.280 persone. Il conflitto nasce negli anni ‘80 da parte di un gruppo terroristico “Sendero Luminoso” che con la scusa di lottare per i più poveri finì per massacrarli perché non accettavano le strategie di violenza imposte. Questa gente ha vissuto per anni le peggiori atrocitá che un essere umano possa immaginare, tutto ciò nella totale indifferenza da parte di uno Stato, per il quale, le regioni che non hanno peso economico praticamente non esistono. Il conflitto diventa molto forte quando Sendero Luminoso inizia a compiere attentati terroristici a Lima, capitale del Perù e centro di un Paese fortemente centralizzato. La situazione inizia a sfuggire di mano al governo che decide a questo punto di inviare l’esercito all’interno del Paese, nella zona andina, dove Sendero Luminoso era nato e si rifugia ma anche dove da anni le persone vengono uccise e torturate senza pietà.

Da questo momento in poi il Perù visse anni terribili, l’esercito senza alcuna strategia fece irruzione all’interno del Paese sterminando intere comunità, accusando i più poveri e diseredati di essere terroristi e con quest’ottica uccise, violentò e torturò migliaia di uomini, donne e bambini.

Questa gente visse anni di terrore minacciata da un lato da Sendero Luminoso e dall’altro dall’esercito del proprio Paese. Anni in cui vennero uccisi bambini e donne incinte perché portavano nel grembo “futuri terroristi”, anni in cui furono massacrate intere comunità, violentate donne di ogni etá, torturati uomini e bambini fino la morte, anni in cui sono spariti 9,000 persone, i cosiddetti desaparecidos, di cui le loro famiglie non hanno neanche una tomba dove poter piangere.

Ancora oggi sono visibili i segni del dolore nel viso di queste persone. “Nessuna riparazione economica potrà mai ridarmi indietro i miei figli...” ci dice una mamma in lacrime i cui bambini sono stati uccisi.

Lo Stato per far fronte alla sua grande assenza durante questi anni fece redigere una grande inchiesta chiamata la “Comisión de la Verdad y Reconciliación” (Commissione della Verità e la Riconciliazione) dove si sono ascoltate le storie di migliaia di vittime e si è potuto avere un’idea dell’immensità della tragedia che fino ad allora era stata vissuta in silenzio dalla popolazione più povera del Perù. A partire da ciò si sono decise una serie di misure per “riparare” questa frattura che si è creata con la popolazione. Tra queste si prevedono delle riparazioni economiche per quelle persone che sono state uccise, desaparecidas, torturate o violentate durante gli anni della violenza politica ma ancora oggi si discute sulla somma e le modalità di elargire le riparazioni, con il risultato che queste persone sono completamente abbandonate dallo Stato. Persone con problemi psicologici terribili, mamme con figli frutto delle violenze sessuali, uomini disabili frutto delle torture subite. Tutti loro devono convivere non solo con il dolore del ricordo ma anche con le conseguenze fisiche e morali che tutto ciò ha comportato.

I ricordi" ci dice un campesino," della violenza ci hanno segnato profondamente... ricordiamo più quegli anni che gli anni felici..ma nonostante ciò l’intera comunità è d’accordo sul fatto che bisogna ricordare, bisogna che i loro figli sappiano quella storia, sconosciuta da tutti e nascosta da tanti, perchè una violenza simile non si possa ripetere mai più."

“Senza memoria non c’è giustizia”...

Patrizia


Foto dall'archivio di ASPEm


Cosa succede in Bolivia




In queste settimane c'é stato un grande caos qui, ma da due giorni é tornata la calma.
Tutto é iniziato con la risoluzione ministeriale del 29 marzo 2011 che decretava l'aumento salariale del 10% tanto per il settore pubblico, come per il privato (escludendo chi ricopre ruoli di dirigenza) e innalzava il salario minimo mensile in Bolivia a 815,40 pesos bolivianos, cioé approssimativamente 80 euro, con applicazione retroattiva al 1 gennaio 2011.
La Centrale Operaia Boliviana (COB) raggruppa piú di 40 categorie di lavoratori e 3 di queste, insegnanti, medici e minatori, hanno contestato l'aumento del 10% sostenendo che fosse troppo misero per arrivare a fine mese e richiedendo almeno un 15%. Il governo ha risposto che giá un 10% per l'economia boliviana fosse piuttosto pesante, un 15% era impossibile, anche perché sicuramente l' incremento dei salari genera un corrispettivo processo inflazionistico.
Davanti alla posizione ferma del governo, i membri della COB hanno iniziato manifestazioni, blocchi delle strade, fino agli scontri con la polizia.
Sono ricomparsi a La Paz i dinamitazos (piccole esplosioni di dinamite) , improvvisi blocchi delle strade, chiusura degli uffici pubblici, delle scuole. Il clima si era fatto davvero tenso e sembrava che il dialogo non portasse a buon fine. La COB continuava a minacciare di bloccare le strade di tuto il paese.
Tutte le mattine le volontarie in servizio civile che lavorano a El Alto mi chiedevano: "provo a salire??" oppure "Vale, ci ho messo due ore a arrivare su, ora come faccio a scendere???". Per fortuna in Bolivia anche quando tutto sembra impossibile, poi si trova sempre una soluzione.
Come vi anticipavo, lunedi si é arrivati a un accordo: il governo ha ceduto a un aumento dell'11% con la possibilitá di arrivare a un 12% se si trovano i fondi necessari.
Facciamo un caso pratico: un insegnante guadagnava approssimativamente 1000 boliviani al mese cioé circa 100 euro; con l'aumento inizialmente proposto dal governo guadagnerebbe 1100 boliviani, cioé circa 110 euro al mese. Dopo 10 giorni di manifestazioni, proteste, blocchi, accampamenti di fortuna ecc.ecc. questo insegnante ha ottenuto di guadagnare 10 boliviani in piú al mese, cioé circa 1 euro, forse 2 se trovano i fondi....un po' pochino, no? i maestri lunedi hanno continuato a scioperare, ma siccome la COB ha firmato l'accordo, se ne sono dovuti tornare in classe, anche perché l'associazione dei genitori li ha minacciati di buttarli fuori dalla scuole de El Alto.
In questo mese é aumentato il costo dei trasporti da 1 boliviano a 1,50 e oggi é aumentato il prezzo del latte...insomma per il governo la strada é tutta in salita: da un lato deve far quadrare e crescere l'economia boliviana, dall'altro deve cercare di non perdere troppi consensi nei movimenti sociali, che lo accusano ormai da tempo di non essere assolutamente un governo socialista .
Speriamo che si continui sulla via del dialogo e che sia una Pasqua di pace per tutti.
Buona pasqua!
un abbraccio dalla Bolivia

Valentina

Valentina è la rappresentante legale, di ASPEm in Bolivia.

Foto di Patrizia Gajaschi

martedì 12 aprile 2011

BENE o MALE?

Metti caso che ti trovi a passeggiare per le strade di Cajamarca, alle 10 di sera, e che stai passeggiando alla ricerca di un posto dove prendere del cibo e bere una birretta, dopo una lunga e intensa giornata di lavoro. Metti caso che incontri una bambinetta di massimo 11 anni, che sta accendendo un fuoco con la spazzatura trovata per strada, metti caso che la cosa ti innervosisca parecchio così le chiedi: “Ma cosa stai facendo???” e lei risponde: “Mi scaldo perché ho freddo”. La domanda, quindi, sorge spontanea : “Ma non puoi andare a casa se hai freddo?Ce l’hai una casa vero?” Può essere che lei ti risponda: “Si, ma non posso tornare finchè non ho venduto tutte le caramelline...”

Allora cerchi di farla ragionare spiegandole che a quell’ora non potrai mai trovare clienti per le caramelline, ma solo brutta gente. E lei ti ripeterà, ancora, con tutta la naturalezza del mondo: “Si ma non posso tornare a casa se prima non vendo tutte le caramelle”. Metti caso che con l’aiuto di un’altra volontaria tu rimanga a vendere le caramelle insieme alla bimbetta, e che grazie al tuo aiuto guadagni 15 soles.

In più, intenerito da quel faccino, gliene lasci altri 20.

Gesto giusto o sbagliato?


Storia di Eugenio Casini, scritta da Ilenia Costantino

Foto dall'archivio di ASPEm